La superficialità dell’infinito non mi riempie.
Cerco la profondità
nell’infinitesimo
scavando nell’intimità delle cose ,
per sconfinare in me
stesso.
Non mi basta più la superficie dell’infinito,
voglio assaporare la profondità del dettaglio,
provare l’intimità del particolare ,
indagare la diversità dell’ invisibile e del solo percepito,
dove posso perdermi nell'espansione di me stesso.
Voglio entrare nel dettaglio
fino a cercare di percepirne
il senso.
Il mio senso.
L’infinito lo guardo e mi immobilizza nell’inquietudine
della sua dispersione.
Mi colpisce l’immenso ma non lascia traccia,
è impressione
labile che sfugge ,
devo chiudere al minimo il diaframma del mio sguardo interiore
per contenerlo tutto,
fino allo smarrimento perché non ci sta.
Avvicinarmi al dettaglio dell’infinitesimo invece
mi induce
ad espandere al massimo il diaframma della mia ottica
fino a sostituire lo
sguardo col sentire dinamico.
Solo allora riesco a vedere
consapevolmente anche l’invisibile
riempiendomi concretamente della sua essenza.
E' straordinaria bellezza avere la sensazione di disporre ancora spazio a sufficienza ,
da
modulare se occorre per accogliere l'infinitesimo tutto ,
anche se è necessaria un’ulteriore espansione
per comprenderlo.
L’infinito circoscrive in modo
determinato i miei confini
immobilizzandomi al bordo della sua
superficie.
L’infinito lo subisco ,
lo posso solo contemplare ,
rinuncio
al tentativo di andare oltre
per non sentirmi disorientato.
L’infinitesimo
mi libera,
anche laddove non riesce a giungere lo sguardo,
dà quiete la consapevolezza del mio sentire profondo
che mi induce a cercare oltre i limiti
nella
continua scoperta
del mio essere ancora non noto.
Osservare l’infinito lascia solo traccia della linea guida del mio percepire,
un 'intuizione astratta,
è solo tendenza del mio sentire.
E' la meraviglia arresa.
Cercare
di entrare nell’infinitesimo
è scoprire
la concretezza del mio essere.
E' il coraggio di osare
nella consapevolezza
di essere umile frazione
di un infinito.
Iperipo
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