venerdì 28 febbraio 2014

Il mondo ha cambiato forma dentro di me



Ma proprio mentre toccavo quelle briciole secche e sgretolate ,
fu come se il mio corpo avesse smesso di esistere.
Non c'era più fame,
non c'era più la tremenda paura di rimpicciolire...
 
 
 
 
Continuavo a rimpicciolire.
Per diventare che cosa?
L'infinitesimo?
Che cos'ero?
Ero ancora un essere umano?
O ero l'uomo del futuro?
Se ci fossero state altre raffiche di radiazioni,
se altre nuvole avessero sorvolato mari e continenti,
altri esseri umani mi avrebbero seguito in questo vasto e nuovo mondo? 
 


 
Sembrano così vicini,
infinitesimo e infinito ,
ma all'improvviso capii che erano i due termini di una stessa idea.
L'incredibilmente piccolo e l'incredibilmente grande sono destinati a incontrarsi,
come gli estremi di una gigantesca circonferenza.
 
Guardai in alto,
come se sentissi in qualche modo di poter afferrare il cielo con le mani.
L'universo,
innumerevoli mondi.
L'arazzo argenteo di Dio teso sul cielo della notte,
e in quel momento seppi qual era la risposta,
l'enigma dell'infinito.
Avevo pensato nei termini delle limitate dimensioni umane.
Avevo preteso troppo dalla natura.
E' l'uomo, non la natura,
a credere che l'esistenza abbia un inizio e una fine.
Sentivo il mio corpo svanire nel nulla,
diventare il nulla.
Le mie paure si dileguavano,
e al loro posto subentrava l'accettazione.
 
La vasta maestà della creazione.
Doveva per forza avere un significato.
E lo stesso valeva per me.
Sì : ero il più piccolo tra i piccoli,
ma anch'io significavo qualcosa.
Non c'è zero per Dio.
Io esisto ancora!

 
da "Due colpi alla testa" di Paul Auster

 
 
 
 
 

sabato 8 febbraio 2014

La meraviglia di guardare il mondo con i pensieri di te stesso bambino...con i tuoi primi pensieri.


In principio tutto era vivo.
Anche i più piccoli oggetti erano dotati di cuore pulsante,
e perfino le nuvole avevano un nome.
Le forbici camminavano, telefoni e teiere erano cugini, occhi e occhiali fratelli.
Il quadrante dell'orologio era un volto umano,
ogni pisello nel piatto aveva una personalità
e nell'auto dei tuoi genitori,
la griglia del radiatore era una bocca ghignante piena di denti.
Le monete , dischi volanti.
I rami degli alberi , braccia.
I sassi pensavano,
e Dio era ovunque. 
 
 
 
 
Le stelle , d'altra parte, erano inspiegabili.
Né buchi nel cielo né candele né luci elettriche,
né altro che somigliasse a qualcosa che conoscevi.
L'immensità dell'aria nera sopra tutto e tutti,
la vastità dello spazio che stava tra te e quelle piccole luminosità,
resistevano a ogni tentativo di comprensione.
Belle e benigne presenze sospese nella notte,
che erano lì perché dovevano esserci punto e basta.
Opera delle mani di Dio,
sì, ma cosa gli era passato per la testa?
 
 
Paul Auster

giovedì 6 febbraio 2014

Tornare...magari diverso.


 
 
 Quest’è il giorno che salgono le nebbie dal fiume
nella bella città, in mezzo a prati e colline,
e la sfumano come un ricordo. I vapori confondono
ogni verde, ma ancora le donne dai vivi colori
vi camminano. Vanno nella bianca penombra
sorridenti: per strada può accadere ogni cosa.
Può accadere che l’aria ubriachi.

Il mattino
si sarà spalancato in un largo silenzio
attutendo ogni voce. Persino il pezzente,
che non ha una città né una casa, l’avrà respirato,
come aspira il bicchiere di grappa a digiuno.
Val la pena aver fame o esser stato tradito
dalla bocca più dolce, pur di uscire a quel cielo
ritrovando al respiro i ricordi più lievi.

Ogni via, ogni spigolo schietto di casa
nella nebbia, conserva un antico tremore:
chi lo sente non può abbandonarsi. Non può abbandonare
la sua ebbrezza tranquilla, composta di cose
dalla vita pregnante, scoperte a riscontro
d’una casa o d’un albero, d’un pensiero improvviso.
Anche i grossi cavalli, che saranno passati
tra la nebbia nell’alba, parleranno d’allora.

O magari un ragazzo scappato di casa
torna proprio quest’oggi, che sale la nebbia
sopra il fiume, e dimentica tutta la vita,
le miserie, la fame e le fedi tradite,
per fermarsi su un angolo, bevendo il mattino.
Val la pena tornare, magari diverso.
  

"Paesaggio" di Cesare Pavese
 
 
 
 


martedì 4 febbraio 2014

Nei tuoi occhi ho ritrovato la dolcezza di una luce morbida in un crepuscolo invernale...al confine tra il cielo e il mare.



 
 
"MATTINO"

La finestra socchiusa contiene un volto
sopra il campo del mare. I capelli vaghi
accompagnano il tenero ritmo del mare.

Non ci sono ricordi su questo viso.
Solo un'ombra fuggevole, come di nube.
L'ombra è umida e dolce come la sabbia
di una cavità intatta, sotto il crepuscolo.
Non ci sono ricordi. Solo un sussurro
che è la voce del mare fatta ricordo.

Nel crepuscolo l'acqua molle dell'alba
che s'imbeve di luce, rischiara il viso.
Ogni giorno è un miracolo senza tempo,
sotto il sole: una luce salsa l'impregna
e un sapore di frutto marino vivo.

Non esiste ricordo su questo viso.
Non esiste parola che lo contenga
o accomuni alle cose passate. Ieri,
dalla breve finestra è svanito come
svanirà tra un istante, senza tristezza
né parole umane, sul campo del mare.



Cesare Pavese