domenica 30 marzo 2014

Il mondo è nella mia testa. Il corpo è nel mondo.

In questo pomeriggio strano di tempo sfasato , con una primavera incerta , leggo Paul Auster per dare senso a questo tempo quasi sprecato e mi soffermo e sottolineo pensieri che sento appartenermi …


…Di solito sono abbastanza silenzioso. A volte collerico. Non ho pace. Tutto mormora dentro di me ( la parola “ mormorare “ è tra le più belle di questa lingua)…Ho i sensi all’erta, percepisco ogni cosa più acutamente. Mangio poco da settimane, ormai…estrema malinconia, strane sensazioni che si aggirano dentro di me. Come se stessi arrivando alle radici di qualcosa di molto importante.

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Il mondo è nella mia testa. Il corpo è nel mondo. 
Ancora oggi tieni fede a quel paradosso, a quel tentativo di catturare la strana duplicità dell’essere vivi , l’inesorabile unione di dentro e di fuori che accompagna ogni nostro battito del cuore dalla nascita alla morte.


primule in un interno



" Difficilissimo.
Capisci , sono infinitamente confuso su tutta questa faccenda della vita.
Tutto scombussolato, scosso, distrutto.
So che sarà sempre così...la confusione.
E quanto mi sono odiato per averti detto che la vita è bella
...quando mi hai chiamato qui, la sera che non stavi bene.
Che senso ha? Perché vivere?
Non voglio sprecare il tempo.
Alla fine io credo, più fortemente di qualsiasi altra cosa ,
che l'unica cosa importante sia l'amore.
Ah i vecchi cliché...
Ma è quel che credo davvero.
Credo.
Sì. Io. Credo.
Senza sarei perduto.
La vita un pessimo scherzo, senza."
 


La coerenza effimera di una nuvola bianca in un cielo azzurro.


nei pensieri felici ip

Quando ero bambino mi piaceva molto giocare a palla nel campo in fondo alla via , dove finivano le ultime case del paese prima dell'inizio della sconfinata campagna.
Era quello un modo per socializzare con gli altri per me che ero figlio di emigranti meridionali e quindi , per quei tempi in Brianza,  un diverso da tenere in disparte.
Allora non si avevano molte disponibilità per acquistare giochi e possedere il pallone era un lusso riservato a pochi ragazzini nel mio rione. Di solito chi l’aveva era figlio di una famiglia benestante e non era molto bravo a giocarci.
Quando si decideva di giocare tutti insieme a palla e si riusciva a organizzare una partita  era come un momento di festa. Superata l’euforia iniziale di essersi messi tutti d'accordo ,  c’era sempre il problema di dove recuperare la palla. Allora i più risoluti si organizzavano in delegazione e andavano a casa dell’unico ragazzino che ce l’aveva per convincerlo a portarla al campo , con la promessa che avrebbe giocato anche lui pur non essendo capace.
Quando iniziava la partita e la palla cominciava a rotolare tra le nostre gambe di piccoli selvaggi scatenati ci sentivamo liberi e felici , padroni della bellezza  del vivere , e correvamo nel “nostro grande prato verde” con la testa immersa nel cielo azzurro infinito e con noi anche i pensieri correvano tra le nuvole bianche.
Mi ricordo anche però l’insofferenza e la infinita delusione provata più volte per l’ incoerenza di quel bambino che , dopo aver acconsentito di mettere a disposizione “la sua palla” , nel bel mezzo del gioco senza preavviso , per un suo semplice capriccio , decideva perentoriamente di andarsene a casa portandosi via con se sottobraccio “la sua palla” costringendoci a interrompere quella felicità , semplice ma grande , lasciandoci tutti fuori gioco.
Si tornava a casa in silenzio e delusi a testa bassa, come quando si subisce un’ ingiustizia.

Ripensandoci oggi forse lì ha origine la mia consapevolezza acquisita successivamente che  qualcun altro ha sempre la possibilità e l’arroganza di condizionare la tua vita e il tuo senso di felicità.
Comunque ricordo anche che allora , nonostante l’amarezza più volte provata , rimaneva sempre la speranza di riuscire ad organizzare per l’ indomani un’altra partita e soprattutto di  trovare una palla più coerente.




Nella corrente liquida note musicali di luce compongono un'armonia.


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(Rain from Davide Roveri on Vimeo.)



In un inverno lontano e buio
mi son riempito gli occhi di gocce d’acqua
sospese ad offuscare la vista.

Al di qua della luce mi son avvolto
in un dolore irrisolto
per una meraviglia solo immaginata.

Ho voluto camminare a modo mio
accompagnandomi a un desiderio di morte nell’anima
vagando sulle tracce di una memoria distorta.

Ora il mio risveglio è nella tua primavera ,
esuberanza di trasparenze colorate inaspettate
che mi riconducono ad un senso di vita.

Avvolta da tessiture di fronde oscure
ti ho riconosciuta nella profondità del bosco,
ramo fiorito disegnato da un raggio di luce.

Ho affiancato il mio passo al tuo
in un danzare di foglie silenziose
e il nostro andare dolce ci ha portato a sostare a fianco del fiume.

Nell’armonia di una liquidità in movimento,
la tua voce nei versi di Pavese è musica,
note dipinte da riflessi di luce che corrono a pelo d’acqua.

Travolti dalla vena fluida veloce
gli abbiamo affidato le nostre anime
e il mio canto si è intonato alla tua voce melodiosa.

Nell’estasi della bellezza abbiamo trattenuto i nostri sospiri
per pudore di ciò che può essere ascoltato
solo dalle nostre anime in amore.

Iperipo



ramo fiorito in raggio di luce

giovedì 27 marzo 2014

Ogni tramonto in fondo è tensione di cambiamento verso una luce nascente.



tramonto s.rocco .NEFip


L'introspezione non basta.
Le conferme degli altri non bastano.
L' accettazione all'interno di una relazione continuativa che non offre rassicurazioni
(che comunque sono solitamente false),
e in tal modo conduce la persona sofferente alla consapevolezza
del suo bisogno di stimare e accettare se stessa:
questa è la base del cambiamento.



da Zona di Disagio di Jonathan Franzen
(traduz. Silvia Pareschi)






venerdì 21 marzo 2014

Innamorato di te ti guardo che ami...in questa nostra rinnovata primavera

 
 
Ciò che tu sei
mi distrae da ciò che dici.

 
Lanci parole veloci
inghirlandate di risa,
e mi inviti ad andare
dove mi vorranno condurre.
Non ti do retta, non le seguo:
sto guardando
le labbra dove sono nate.

 
Guardi, improvvisa, lontano.
Fissi lo sguardo lì, su qualcosa,
non so che, e scatta subito
a carpirla la tua anima
affilata, di saetta.
Io non guardo dove guardi:
sto vedendo te che guardi.

 
E quando tu desideri qualcosa
non penso a ciò che vuoi,
e non lo invidio: non importa.
Oggi lo vuoi, lo desideri;
domani lo scorderai
per un desiderio nuovo.
No. Ti attendo più oltre
dei limiti, dei termini.
In ciò che non deve mutare
rimango fermo ad amarti, nel puro
atto del tuo desiderio.
E non desidero più altro
che vedere te che ami.
 
Pedro Salinas
 
 

sabato 1 marzo 2014

Osare nell'infinitesimo e arrendersi all'infinito.



"Oceans"  from  on Vimeo.
 


La superficialità dell’infinito non mi riempie.
Cerco la profondità nell’infinitesimo
scavando nell’intimità delle cose ,
per sconfinare in me stesso.

Non mi basta più la superficie dell’infinito,
 voglio assaporare la profondità del dettaglio,
provare l’intimità del particolare ,
indagare la diversità dell’ invisibile e del solo percepito,
dove posso perdermi nell'espansione di me stesso.

Voglio entrare nel dettaglio
fino a cercare di percepirne il senso.
Il mio senso.

L’infinito lo guardo e mi immobilizza nell’inquietudine della sua dispersione.
Mi colpisce l’immenso ma non lascia traccia,
è impressione labile che sfugge ,
devo chiudere al minimo il diaframma del mio sguardo interiore
per contenerlo tutto,
fino allo smarrimento perché non ci sta.

Avvicinarmi al dettaglio dell’infinitesimo invece
mi induce ad espandere al massimo il diaframma della mia ottica
fino a sostituire lo sguardo col sentire dinamico.
 Solo allora riesco a vedere consapevolmente anche l’invisibile
riempiendomi concretamente della sua essenza.
 
E' straordinaria bellezza avere la sensazione di disporre ancora spazio a sufficienza ,
da modulare se occorre per accogliere l'infinitesimo tutto ,
anche se è necessaria un’ulteriore espansione per comprenderlo.

L’infinito circoscrive in modo determinato i miei confini
immobilizzandomi al bordo della sua superficie.
L’infinito lo subisco ,
lo posso solo contemplare ,
 rinuncio al tentativo di andare oltre
per non sentirmi disorientato.
 
L’infinitesimo mi libera,
 anche laddove non riesce a giungere lo sguardo,
dà quiete la consapevolezza del mio sentire profondo 
che mi induce a cercare oltre i limiti
nella continua scoperta 
del mio essere ancora non noto.

Osservare l’infinito lascia solo traccia della linea guida del mio percepire,
un 'intuizione astratta,
è solo tendenza del mio sentire.
E' la meraviglia arresa.
 
Cercare di entrare nell’infinitesimo
è scoprire
la concretezza del mio essere.
E' il coraggio di osare
nella consapevolezza
di essere umile frazione 
di un infinito.

Iperipo