domenica 17 aprile 2016

Una corona di fiori.






Farfalle del colore dell’arenaria grigia, altre color caprifoglio.
Erba e fiori selvatici alti fino al ginocchio.
Petali sbiaditi dal sole tanto da essere quasi bianchi,
ma non bianco creta come quelle minuscole chiocciole che si trovano a volte sui terreni polverosi.
Delicati gladioli selvatici color ametista,
trasparenti e più piccoli della falange di un dito.
Papaveri rossi,
del rosso con cui un bambino dipinge il fuoco.
Papaveri sbiaditi,
appassiti,
le corolle reclinate delle macchie del vino.
Bassi affioramenti di roccia piatta,
liscia e grigia come il fianco dei delfini.
Il campo circondato su ogni lato da querce.
Morire in quel campo, il sangue che fluisce dentro la terra arida.
Essere uccisi da uno sparo,
cadere di traverso sui binari del tram,
il sangue che rende scivoloso l’acciottolato.

Descrivo la prima morte per intrecciare una corona di fiori per la seconda.

da “G.” di John Berger




giovedì 14 aprile 2016

Anziché comprendere un essere umano, lo si costruisce.




 

In questi giorni ho finito di rileggere quel libro meraviglioso che è
“Memorie di Adriano”
scritto da Marguerite Yourcenar.
A fine lettura mi hanno colpito alcune considerazioni  
riportate nel “Taccuino degli appunti” annesso al libro
in cui l’autrice descrive il suo meticoloso lavoro di ricerca
ed il suo travaglio, protrattosi per un gran numero d’anni della sua vita,
prima di decidersi a pubblicare il libro. 
In tutto quel tempo lei ha affrontato una continua rimodulazione del suo scrivere,
con un’ impresa grandiosa quasi impossibile da immaginare,
per cercare di ricostruire e restituirci in quel racconto la vita sociale e l’interiorità
di una persona complessa come quella di Adriano,
in modo che fosse la più aderente alla realtà,  
nel tentativo di non tradire l’essenza di quella persona.

 


 Queste sue considerazioni sono il frutto di un approccio che ritengo corretto
di fronte all' impresa ardua di raccontare la complessità della vita di un essere umano
con la giusta umiltà e responsabilità
nella consapevolezza che si sta’ cercando di fermare sulla carta,
circoscrivendola con delle parole scritte,
un qualcosa d'infinitamente articolata qual è la vita intima di una persona.


Nonostante questo percorso pieno di esitazioni, ripensamenti, dubbi  e pudore
a cui si è sottoposta l’autrice in tanti anni di lavoro,
e che la fa grande ai miei occhi già solo per questo,
alla fine lei stessa riconosce che ciò che ha scritto
è comunque una sua approssimazione del vero.

 
Persino raccontare se stessi è un’approssimazione quasi banale.

“ Fare del proprio meglio.
Rifare. Ritoccare impercettibilmente ancora questo ritocco.
<<Correggendo le mie opere, - diceva Yeats, - correggo me stesso>>”.



 
 
Tutto ci sfugge. Tutti. Anche noi stessi. La vita di mio padre la conosco meno di quella di Adriano. La mia stessa esistenza, se dovessi raccontarla per iscritto, la ricostruirei dall’esterno a fatica, come se fosse quella d’un altro. Dovrei andare in cerca di lettere, di ricordi d’altre persone, per fermare le mie vaghe memorie.
Sono sempre mura crollate, zona d’ombra.



 

L’uomo appassionato di verità, o , se non altro, di esattezza, il più delle volte è in grado di accorgersi, come Pilato, che la verità non è pura. Ne conseguono, mescolate alle affermazioni dirette, alcune esitazioni, sottointesi, deviazioni che uno spirito più convenzionale non avrebbe avuto; in certi momenti, rari peraltro, m’è accaduto persino di sentire che l’imperatore mentiva. In questi casi, bisogna lasciare che mentisse come noi tutti.

In un certo senso, ogni vita raccontata è esemplare; si scrive per attaccare o per difendere... le biografie in genere si squalificano per una idealizzazione o una denigrazione a qualunque costo, per particolari esagerati senza fine o prudentemente omessi; anziché comprendere un essere umano, lo si costruisce.

 










Non perdere mai di vista il grafico di una esistenza umana, che non si compone mai, checché si dica, d’una orizzontale e due perpendicolari, ma piuttosto di tre linee sinuose, prolungate all’infinito ravvicinate e divergenti senza posa: che corrispondono a ciò che un uomo ha creduto di essere, a ciò che ha voluto essere, a ciò che è stato.





Qualunque cosa si faccia, si ricostruisce sempre un monumento a proprio modo;
ma è già molto adoperare pietre autentiche.
 
 
Brani tratti da “Memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar

mercoledì 6 aprile 2016

LA COMMEDIA IN APRILE

 
  

  
E così marzo è diventato un museo,
e si apre il sipario di aprile.
Percorro la galleria vuota
fino all’ultima poltrona.
In una scenografia primaverile
gli attori piantano tende,
in un becco di luce
cominciano la commedia.
 
Le loro urla nel buio polveroso
si radunano gementi sopra
gli ambasciatori apparsi dalle quinte.
E gli oggetti e gli arredi sulla scena nella pioggia
sono la cenere della casa
e le pietre innumerevoli la tomba
nel verde.
 
Me ne vado nell’intervallo,
stufo di questo repertorio.
 
 
 Harold Pinter
(da Poesie d’amore, di silenzio, di guerra,
    Einaudi 2006, trad. di Edy Quaggio)